sabato 30 agosto 2008

Il lavoro interinale meglio del pallone?


La sua passione è sempre stata il pallone. Fin da ragazzino, appena poteva andava a giocare a calcio. Con gli amici, a scuola, con la squadra. Il suo sogno era fare il calciatore. Come tanti ragazzini, ma con in più un precedente, quello di suo padre. “Lui giocava nel Palermo Primavera. Ha fatto anche due partite in serie A.” Davide ne è orgoglioso. E lui a quattordici anni ha cominciato a fare provini per i grandi vivai che allenano calciatori in erba: quelle magnifiche fabbriche di sogni per adolescenti, dalle quali esce un calciatore di serie A ogni cento prescelti. Gli altri, che quando entrano si sentono dei piccoli semidei, baciati dal dio del calcio sulle loro testoline di ragazzini scatenati e determinati, illuminati dall’aura del successo, già delle piccole celebrità in famiglia, nel quartiere, a scuola, si perderanno per strada o giocheranno in squadre minori. Davide a quattordici anni fa un provino con la Lodigiani, uno dei vivai più famosi d’Italia. “Andò benissimo” racconta, con la voce ancora felice. Ne fece anche un altro con il Milan. Andò fino a Milano per sperare. Andò tutto liscio. Ma… “Ma mia madre disse no. Il pallone non ti garantisce la vita. Diceva. Se tutto va bene guadagni fino a trent’anni, e poi?” E così la mamma di Davide decise che il pallone non era la sua strada.


Oggi Davide ha trentadue anni. Da circa un anno è stato assunto alla Nissan, e grazie a questa stabilità già pensa di comprare casa e metter su famiglia. La sua storia, raccontata in Precari e contenti, da cui ho tratto il testo, mi ha colpita perché ha lui è stato negato un sogno da una madre che pensava di fare il suo bene.


Fin da piccola adoravo starmene seduta sul divano a leggere qualsiasi opuscolo, volantino, pubblicità, trovassi nel mobiletto porta-telefono. Poi un giorno in garage scovai in uno scatolone tanti numeri di Cronaca Vera, rivista settimanale specializzata in costume e cronaca nera. Mia madre li aveva avuti dalla sorella per usarli come carta straccia per accendere la caldaia a legna dei termosifoni. Prima che finissero divorati dalle fiamme, io, me ne appropriai tutta contenta da buon lettore in erba. Avevo soltanto quattro anni, ma sapevo anche già scrivere e far di conto. Ben presto ebbi modo di spulciare perfino Famiglia Cristiana sottraendola, tra un cliente e l’altro, a mia zia. Passavo spesso pomeriggi interi nel suo negozio, poiché giocavamo proprio nel marciapiede di rimpetto. Un altro mio appuntamento fisso erano i tg. In questo, diciamo, sono tutta mio padre. Come dire… Per Hegel la lettura del giornale era la preghiera mattutina dell’uomo moderno. Per noi la visione dei tg quella del mezzogiorno e della sera. Accadeva così che, a differenza del resto della famiglia, io ero l’unica a parlare sempre in italiano anziché in dialetto. Chi mi ascoltava, sorrideva. Immaginate voi un pidocchietto di bimba, leggermente paffutella, con dei riccioli informi tenuti a bada da qualche acconciatura con fermaglio di turno, piazzarsi davanti a voi, mani ai fianchi, e dirvi in perfetto italiano ciò che le passa in quel momento per la testolina, nonostante nessuno le parli in quel modo.
Adorabile!
Per voi, immagino.
Semplicemente passionale invece.
Il suono di tutte quelle parole esercitavano su di me un potere, oserei azzardare, ipnotico. Mi ammaliavano, e io cedevo ben volentieri al loro effetto.
Fino alle elementari non ebbi modo di leggere nessun libro per ragazzi. Poi, in prima, mi dissero che alcune storie contenute nel mio sussidiario le potevo ritrovare in biblioteca. Quel pomeriggio stesso chiesi a mia madre di andarci, e fu così che lessi il Piccolo Principe di Oscar Wilde (o sarà stato un altro? Irrilevante comunque). La volta successiva il mio sguardo fu attratto da uno scaffale con volumi dalla copertina interamente gialla. Avevo scoperto il mondo di Agatha Cristhie. Le sue storie stimolavano la mia curiosità. Il suo talento nel costruirle facendo dubitare di tutti i personaggi motivava le mie letture. In seguito, spinta dagli insegnanti che, nel vedere l’ardore con il quale divoravo intere pagine in poco tempo, ritenevano dovessi concentrarmi su generi a loro avviso di più alto livello, allargai il mio orizzonte di interessi.
Va detto che non mi dedicavo soltanto alla lettura. Tutto ciò che leggevo era adeguatamente riassunto, commentato, analizzato. Mi esercitavo così pure nella scrittura.
Già avevo ben chiaro in mente quale mestiere avrei fatto da grande: qualunque mi avrebbe permesso di continuare a vivere le mie passioni!
(continua...)

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