mercoledì 30 aprile 2008

Presentazione

L’idea di un blog sulle mie attuali e passate esperienze professionali nasce dall’esigenza di confrontarmi con altri sulle problematiche del sistema lavorativo italiano, dalla formazione all’assunzione.
A mio avviso la sua peculiarità non è, come molti sostengono, la carenza di posti di lavoro quanto piuttosto una differenza qualitativa tra domanda e offerta: la prima è inferiore alla seconda. Ossia la tipologia di mansioni richieste dal mercato è il più delle volte inadeguata, in termini di salario e di competenze, a chi le svolge o finisce per svolgere. C’è dunque chi ricopre una posizione a lui consona e chi è costretto invece ad accettare qualunque incarico.
Quest’ultimi sono i MALEOCCUPATI. Coloro che pur avendo un lavoro, precario, in nero, non conforme al proprio percorso di studi o alle proprie attitudini, sono ancora in cerca o hanno smesso di cercarne un’altro garantito da un contratto che abbia durata nel tempo, validità in tutti i suoi punti, soddisfi ambizioni e bisogni.
Spinti dalla necessità (di un futuro, di un introito, di un’esperienza) si cede a qualunque condizione contrattuale, entrando così in un meccanismo di sfruttamento e sotterfugi che giorno dopo giorno minano la dignità del singolo.
Chi assume, quando assume, fa leva su tali bisogni per soddisfare i suoi. La regola di fondo (o meglio di forza!) è la seguente:

“se non accetti tu, troverò comunque qualcun altro che è più accondiscendente di te.”

Perché è anche una questione di disponibilità e, senza voler recriminare nessuno, il datore ne è consapevole.
Avrà certamente le sue ragioni, dal nome tasse, ma si può arrivare a così tanto per così tante?
Anche il dipendente le paga. Eppure non si rifà su di lui. Non alla Simpson insomma, per citare il più famoso programma ispirato alla vita reale.
Non arriveremo mai a tanto, spero!
Al momento però ci si adegua fin troppo facilmente. Purtroppo. Perché finiremo col diventare individui potenzialmente insoddisfatti. Demotivati, per quanto si cerchi di non dare troppa importanza al lavoro svolto.
Non a caso, secondo un’inchiesta pubblicata su Panorama del 26/12/2007 “se gli italiani dovessero compilare una pagella e indicare quale voto merita la dimensione lavorativa rispetto ad altri aspetti della vita, indicherebbero un 3, un’insufficienza piena.”
Ciò non esclude però che sentano l’esigenza e abbiano ancora voglia di formarsi e aggiornarsi ulteriormente. Segno che, al di là di tutto, lavorare realizza.

Teoria confermata dunque? Saremo degli insodisfatti? Beh avremo modo di parlarne.

Intanto non dimentichiamo mai di valutare sempre ogni situazione, soppesando pro e contro; di porre sempre egoisticamente noi stessi come metro di giudizio, perché sarà soprattutto il nostro io a dover convivere con un modus viventi a lui non necessariamente conforme.
Ricordando che una rinuncia così come un sacrificio se fatti con coscienza e convinzione saranno sempre la decisione più giusta, perché sensata. La migliore, perché vissuta.

P.S. Attendo vostri commenti, opinioni, domande, storie, anche di datori. Le leggerò con attenzione, per capire e capirci. E magari per migliorare il sistema.