domenica 22 giugno 2008

Disoccupazione cresce, sopra 7%

Istat: in primo trimestre +324mila occupati, +1,4%

(ANSA) - ROMA 19 GIU - La disoccupazione in Italia torna a crescere. Nel primo trimestre, annuncia l'Istat, il tasso di disoccupazione e' tornato sopra al 7% (7,1%). Nello stesso periodo del 2007 era del 6,4%. E' il livello più elevato degli ultimi due anni: nel primo trimestre 2006 il tasso di disoccupazione era pari al 7,6%. Ma anche l'occupazione continua a crescere: Nel primo trimestre, su base annua, il numero di occupati è risultato pari a 23.170.000 unità (+1,4% su base annua).

Ansa del 19/06/2008

domenica 15 giugno 2008

Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lavoro!

È scoraggiante. Aver voglia di esprimere se stessi e non potere. Sentirsi soddisfatti pur avvertendo che manca qualcosa. Un altro tassello ancora, per colmare quel vuoto che insidia una routine quotidiana densa di attività eppure priva di denso sapore. Perché, tra le tante cose che faccio ogni singolo giorno della settimana ce n’è una, il mio lavoro, che anziché riempirmi mi svuota l’anima. È come in cucina: quando prepari una pietanza e da ricetta dovresti usare il pecorino ma, non avendone, lo sostituisci con il grana. Magari ciò che hai preparato sarà mangiabile lo stesso, ma non squisito. Hai infatti alterato un’armonia esistente solo fra determinati ingredienti. Così è anche nella vita.
Il mio ex datore di lavoro per la laurea mi regalò una maglia con su scritto “it is not what it is” (non è ciò che è). Da allora quella frase ritorna spesso alla mia memoria. Sono una commessa, cioè un’aspirante giornalista commessa. Sono felice, cioè non totalmente felice.
Ho un compagno che mi ascolta, mi capisce, con cui condivido perfino la più banale delle scelte, delle arrabbiature, dei sorrisi; Ho un amico che mi conosce veramente, a cui posso raccontare ogni cosa senza inibizioni, timori o censure. Il legame che ci unisce è talmente schietto, sentito e disinteressato che è come guardarmi allo specchio; Ho una famiglia che mi vuol bene, anche se a volte mi fa andare un po’ su di giri: si dispiace con me e per me di non vedermi godere del frutto dei miei studi e della mia passione. A mia madre, che è la persona che più si arrovella per la mia attuale condizione lavorativa, cerco allora di mostrare il lato positivo della situazione: sono in salute quindi posso lavorare e sperare di farlo un dì nel mio settore. Se non lo fossi, a me che avevano diagnosticato un male, sarebbe tutto più difficile.
In fondo conduco un’esistenza in cui non mi privo di grandi cose: non ho una casa mia; non ho intenzione al momento di mettere al mondo una creatura che avrei difficoltà a mantenere; non ho un’occupazione attinente le mie capacità e aspirazioni. Insomma, tenuto conto dell’odierno sistema socio-economico italiano, rientro nella normalità. Per questo, quando ascolto certe storie in TV, le leggo su libri, giornali o internet, mi ritengo fortunata. Peccato si tratti di una consolazione di breve durata! È più forte il senso di rabbia che mi brucia dentro e che riesco a calmare la sera, quando tra le braccia del mio lui chiudo gli occhi e piena di speranza mi dico “domani è un altro giorno”. Saprà di Via col vento, ma mi fa star bene.

mercoledì 11 giugno 2008

domenica 8 giugno 2008

Una mala occupazione accettabile. Parte seconda.

Il lavoro di receptionist in una palestra è stato per me un’opportunità davvero edificante, un’esperienza altamente formativa. Ho infatti potuto maturare le mie capacità relazionali, gestionali, risolutive. Se lasciai è stato non per mia volontà ma per causa trasferimento attività in altra sede. Non avrei potuto dire basta a un ambiente per me stimolante.
Certo, se avessi dovuto vivere soltanto di quella paga… beh… impossibile. Sicuramente sempre meglio dell’attuale che sfiora la metà, ma non adeguata comunque a esigenze a tempo indeterminato. Allora ero studente, i miei provvedevano alle mie necessità primarie (non ho potuto avere tuttavia tante di quelle cose per altri scontate!), lavorare era quasi uno sfizio, un capriccio paradossalmente. Ricordo che mia madre si oppose risolutamente all’idea. Dovevo pensare a laurearmi piuttosto! Non sprecare tempo in qualcosa che non aveva nulla in comune con i miei studi. Più volte sentii ripetermi simili frasi. Per qualche giorno fu perfino fredda e distante con me nel tentativo di dissuadermi. Io non demorsi. Era ciò che volevo. Dovevo dunque. Non penso che sarei arrivata prima al 110 se non avessi accettato quel lavoro. Anzi per me è stato un’iniezione di entusiasmo, di voglia di fare, di realizzarmi. Mi ha motivata in un periodo particolare della mia vita. Se così non fosse stato, il giorno della tanto attesa proclamazione non sarei andata a lavorare! No, non mi è stato imposto dal mio datore. Sono io che ho scelto. Volevo condividere l’importanza di quell’evento con lui e con tutti coloro che mi avevano vista stare sui libri tra una pausa e un’altra. Era il miglior modo per festeggiare.
Quel giorno però è iniziata la mia vera condizione di maleoccupata. Quel giorno, infatti, sono cambiati i presupposti di me lavoratore. Adesso avevo un titolo tra le mani. Adesso dovevo avere delle pretese. Dovevo esigere.
Non esigo perché non transigono. O stai alle loro condizioni o non sei assunta. Questa è l’unica regola. Purtroppo. Prendere o lasciare. Senza obiezioni. Dura lex, sed lex. Peccato che la legge sarebbe dalla nostra!
Così mi ritrovo già grande, con il pezzo di carta, delle necessità e senza garanzie. Senza tutti quei progetti che mi avevano accompagnato nel periodo della mia formazione e che ho abbandonato quando dalla teoria sono passata alla pratica. Da allora mi sento in perenne formazione. Stabile e instabile contemporaneamente. E neppure in ciò per cui ho studiato.
Ero l’Alessandro Anzolin dell’inchiesta di Panorama: lo studente.
Sono, a volte, un’Ismene Zumpano: il rassegnato.
Vorrei essere, ed è l’anima che più mi squassa dentro una giornalista. Di denuncia, di utilità sociale. Una giornalista in regola, con un futuro sicuro e nuovi progetti a cui poter pensare perché quelli di un tempo li ho già portati a termine. Con successo.

Intrappolati nel lavoro atipico

ROMA - Sono oltre 830 mila i lavoratori italiani che nel 2007 erano a rischio precarietà, 20 mila in meno rispetto all'anno precedente. Un calo che inverte la rotta rispetto agli anni precedenti, ma a cui non corrisponde un miglioramento della condizione economica. Secondo l'ultima ricerca dell'Ires-Cgil, in collaborazione con l'Università la Sapienza, sul lavoro parasubordinato, il reddito medio per i precari è infatti di circa 8.800 euro l'anno. Non solo, una gran parte dei lavoratori rimane "intrappolata" nel lavoro atipico: sei precari su dieci per due anni di seguito e oltre il 37% per tre anni (la ricerca prende in considerazione il triennio 2005-2007). "Il dato positivo - ha sottolineato il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni - è che il trend ascendente ha subito un rallentamento. Significa che volendo si può intervenire, come ha fatto con atti concreti il precedente governo, e bisogna continuare ad intervenire. Tuttavia il numero complessivo resta altissimo e rappresenta una anomalia in Europa".
Secondo i dati 2007 raccolti nella ricerca di Ires, Nidil e Università La Sapienza, i lavoratori parasubordinati sono oltre 1,5 milioni, con un aumento del 2,4% rispetto al 2006. In questo insieme rientrano però anche i lavoratori 'tipici', ovvero gli amministratori, i sindaci di società e i partecipanti a commissioni, che sono circa 500 mila. Un milione sono invece gli atipici, in larga maggioranza titolari di contratti di collaborazione. Di questi i lavoratori ritenuti a rischio di precarietà, quelli cioé che hanno una collaborazione con reddito esclusivo, erano lo scorso anno 836 mila, contro gli 858 mila del 2006. In un anno il calo è stato quindi di oltre 20 mila unità e, secondo la ricerca, è ascrivibile "all'attenzione che il Ministero del Lavoro ha attribuito alla lotta alle false collaborazioni, all'aumento del contributo pensionistico di 5 punti percentuali rispetto al reddito che ha reso meno conveniente per le aziende il ricorso alle collaborazioni, e infine agli incentivi alla stabilizzazione". I precari emergono come un popolo di giovani "ma non troppo".
L'età media è infatti di 34 anni e il contratto medio dura circa sette mesi. A livello territoriale la maggiore concentrazione si riscontra in Calabria e nel Lazio, dove sono precari tre parasubordinati su quattro. Per quanto riguarda i redditi, la ricerca evidenzia come per i precari la media si attesti nel 2007 a 8.800 euro l'anno, con un incremento rispetto al 2005 del 4,8%, pari a 405 euro. Si tratta, sottolinea la Cgil, di un aumento "tanto limitato da impedire il recupero dell'inflazione reale. Ciò indica inequivocabilmente un costante peggioramento delle condizioni economiche". Dai dati si evince inoltre che il lavoro parasubordinato non rappresenta un "evento passeggero". Le collaborazioni "per essere impieghi temporanei sono decisamente stabili nel tempo - sottolinea la ricerca - l'impressione è di essere di fronte ad una flessibilità contrattuale di lunga durata in cui l'impegno lavorativo, seppur intermittente nel corso dell'anno, è però rinnovato da un anno all'altro". I casi sono "molto frequenti: sei precari su dieci rimangono nell'impiego atipico per due anni di seguito, e oltre il 37% vi è rimasto per l'intero triennio in considerazione. Si tratta evidentemente di una condizione di intrappolamento nel lavoro flessibile". "Per affrontare il tema della precarietà - ha sottolineato Filomena Trizio, segretario generale Nidil Cgil - sono necessarie politiche adeguate che sappiano contrastare i fenomeni degenerativi basati su mere convenienze di costo del lavoro. Da qui la necessità e la responsabilità per il nuovo governo di mantenere e rafforzare" l'azione intrapresa nello scorso biennio.


Ansa del 05/06/2008

mercoledì 4 giugno 2008

Il Protettore dei precari

Vi segnalo il Santo dei precari con annessa preghiera. Entrambi sono stati scaricati dal sito www.sanprecario.info .