domenica 8 giugno 2008

Una mala occupazione accettabile. Parte seconda.

Il lavoro di receptionist in una palestra è stato per me un’opportunità davvero edificante, un’esperienza altamente formativa. Ho infatti potuto maturare le mie capacità relazionali, gestionali, risolutive. Se lasciai è stato non per mia volontà ma per causa trasferimento attività in altra sede. Non avrei potuto dire basta a un ambiente per me stimolante.
Certo, se avessi dovuto vivere soltanto di quella paga… beh… impossibile. Sicuramente sempre meglio dell’attuale che sfiora la metà, ma non adeguata comunque a esigenze a tempo indeterminato. Allora ero studente, i miei provvedevano alle mie necessità primarie (non ho potuto avere tuttavia tante di quelle cose per altri scontate!), lavorare era quasi uno sfizio, un capriccio paradossalmente. Ricordo che mia madre si oppose risolutamente all’idea. Dovevo pensare a laurearmi piuttosto! Non sprecare tempo in qualcosa che non aveva nulla in comune con i miei studi. Più volte sentii ripetermi simili frasi. Per qualche giorno fu perfino fredda e distante con me nel tentativo di dissuadermi. Io non demorsi. Era ciò che volevo. Dovevo dunque. Non penso che sarei arrivata prima al 110 se non avessi accettato quel lavoro. Anzi per me è stato un’iniezione di entusiasmo, di voglia di fare, di realizzarmi. Mi ha motivata in un periodo particolare della mia vita. Se così non fosse stato, il giorno della tanto attesa proclamazione non sarei andata a lavorare! No, non mi è stato imposto dal mio datore. Sono io che ho scelto. Volevo condividere l’importanza di quell’evento con lui e con tutti coloro che mi avevano vista stare sui libri tra una pausa e un’altra. Era il miglior modo per festeggiare.
Quel giorno però è iniziata la mia vera condizione di maleoccupata. Quel giorno, infatti, sono cambiati i presupposti di me lavoratore. Adesso avevo un titolo tra le mani. Adesso dovevo avere delle pretese. Dovevo esigere.
Non esigo perché non transigono. O stai alle loro condizioni o non sei assunta. Questa è l’unica regola. Purtroppo. Prendere o lasciare. Senza obiezioni. Dura lex, sed lex. Peccato che la legge sarebbe dalla nostra!
Così mi ritrovo già grande, con il pezzo di carta, delle necessità e senza garanzie. Senza tutti quei progetti che mi avevano accompagnato nel periodo della mia formazione e che ho abbandonato quando dalla teoria sono passata alla pratica. Da allora mi sento in perenne formazione. Stabile e instabile contemporaneamente. E neppure in ciò per cui ho studiato.
Ero l’Alessandro Anzolin dell’inchiesta di Panorama: lo studente.
Sono, a volte, un’Ismene Zumpano: il rassegnato.
Vorrei essere, ed è l’anima che più mi squassa dentro una giornalista. Di denuncia, di utilità sociale. Una giornalista in regola, con un futuro sicuro e nuovi progetti a cui poter pensare perché quelli di un tempo li ho già portati a termine. Con successo.

Nessun commento: