martedì 23 settembre 2008

"Mi sono venduta per 800 euro al mese"

Augusto Barbieri viene trovato morto nel suo ufficio, pugnalato a prima vista dalla moglie Ludovica che è sul posto con l’arma del delitto. L’esame del corpo, però, indica che l’uomo è morto già da alcune ore e così i sospetti si spostano sulle dipendenti del suo call center, dipendenti che Barbieri ricattava esigendo sesso in cambio di contratti di lavoro.

È la trama del primo dei due episodi di Distretto di Polizia 8 andato in onda la settimana scorsa ma, almeno in parte, potrebbe benissimo essere la descrizione di una pratica abbastanza diffusa nella società italiana di oggi. Così, quando l’attrice che interpretava la parte dell’assassina ha confessato di essersi venduta per 800 euro al mese, ho pensato che l’indomani avrei approfondito l’argomento su internet. Il giorno seguente invece, prima ancora che mettessi in atto il mio proposito, ascoltando la radio tra una faccenda casalinga e l’altra, ecco una notizia che mi ha colpita più del film della sera precedente: il 18% di 540 studentesse intervistate dall’associazione Donne e Qualità della Vita accetterebbe di vendere il proprio corpo per affermarsi sul lavoro. E la colpa di questo loro “mal” costume sarebbe per il 24% della famiglia di appartenenza non benestante, mentre per il 10% dei mass media che promuovono tal “cripto prostituzione”. Io a 26 anni non baratterei mai me stessa per soldi. E voi?

domenica 14 settembre 2008

Linfa giornalistica

Come molti, insomma, io ho una passione che la Padrone definisce di sicuro insuccesso. Io preferisco premettere l’in al primo termine e dire piuttosto di insicuro successo. Perché, come la storia dell’archeologo dimostra, e la stessa giornalista la commenta, si può sfondare in un settore di dubbia occupabilità se si persegue ciò che si desidera testardamente e con competenza. Senza arrendersi alle prime difficoltà, anche se le sconfitte vanno messe in conto. Contesto permettendo, ovviamente.
Io, nonostante non possa annoverare tra le mie referenze nessuna collaborazione giornalistica né editoriale, escluso qualche articoletto in giornali locali, non rinuncio al mio sogno lavorativo. Aspirerò sempre a realizzarlo e cercherò di aprirmi, quando e dove possibile, nuove strade verso quella direzione, anche se, nel frattempo, posso fare altro.
Perché dovrei negarmelo?
Perché dovrei soffocare quest’anima che palpita dentro di me?
Sarebbe come chiedere a una sirena di scegliere: sentirsi o solo pesce o solo uomo. Ma è entrambi, per natura! Beh… io posso essere commessa, segretaria, moglie, madre, ma sarò sempre giornalista di carta stampata. Anche senza tesserino né qualifica, perché lo sono nel sangue, nella testa, nelle mani… in tutto ciò che sono. E ogni passo che ho compiuto finora per il raggiungimento di questo obiettivo non lo rimpiango.
Neppure quando mia madre, con i soliti discorsi già detti e ridetti, mi rinfaccia, con fare dolente, che se avessi scelto un’altra facoltà universitaria, adesso, forse, non farei un lavoro non all'altezza delle sue aspirazioni e dei suoi sacrifici, ma avrei, magari, già un impiego stabile.
Neppure quando mi invita a nuovi studi in un settore professionale maggiormente richiesto dal mercato, senza comprendere il significato delle mie parole: non potrei, non riuscirei a impegnarmi seriamente, con spirito e motivazione, in qualcosa che mi farà sentire comunque un’infelice. Se proprio devo esserlo, preferisco esserlo il minor possibile, e non dolendomi di aver dovuto pure faticare per ritrovarmi in una simile condizione.
I più, sentendomi fare simili discorsi, si affrettano a ribattere, interrompendo il mio parlare, che sono un’incosciente immatura, che devo affrettarmi a crescere ora che ho messo su famiglia e abbandonare certe illusioni da ragazzina. Ma cosa ne sanno loro? Io li faccio i miei sacrifici, sgobbo per racimolare qualche euro, eppure voglio ancora altro da questa mia vita. Ho una passione che mi motiva e mi fa sentire viva, e che prima o poi mi garantirà “sostentamento”. Intanto le do sfogo in questo mio blog, che racconta di me e di giovani volenterosi pronti a lottare per affermare la propria identità in un Paese, l'Italia, dove spesso veniamo visti ed etichettati come fannulloni falliti.

lunedì 8 settembre 2008

L’archeologo imprenditore

Alessandro è un fiume in piena. Parla con un bell’accento della sua terra, Galatina in provincia di Lecce, punta meridionale estrema della Puglia. È il sud del sud, terra di lunga storia ma anche di alta disoccupazione, e non stupisce che i suoi professori, avendo di fronte un ragazzo sveglio,abbiano cercato di tenerlo lontano dai rischi di un mercato del lavoro difficile. Hanno tentato di smontare i suoi sogni a occhi aperti, per indicargli delle opportunità più concrete. Hanno ragionevolmente insistito sul fatto che le materie scientifiche possono condurre a una formazione meno aleatoria e illusoria delle materie umanistiche. Magari tanti altri studenti avessero qualcuno che li guida in questo modo! Quante illusioni in meno ci sarebbero, e quanti giovani troverebbero più facilmente qualcosa di solido e interessante da fare.Nel caso di Alessandro, però, i consigli non erano all’altezza dei suoi sogni e della sua determinazione. Chi lo ha spinto a fare il liceo scientifico invece del classico non aveva capito di avere di fronte una persona con una marcia in più. Uno che non voleva una strada più facile, ma che intendeva arrivare a tutti i costi in fondo alla “sua” strada. Il grande alleato di Alessandro è stato, ed è, un desiderio sfrenato di realizzare i suoi sogni. (Precari e contenti, Angela Padrone)

Anch’io ho dovuto impormi per tentare di realizzare, almeno in parte, i miei. Quando, terminati gli studi classici, dovetti decidere seriamente cosa fare da grande e, conseguentemente, quale facoltà universitaria scegliere, io, non ebbi alcun dubbio: giornalismo. Mia madre invece ne ebbe tanti e cercò, seppur invano, di insinuarli nella mia mente. Tra frasi assurde, della serie “sei troppo bassina, finiresti per confonderti tra la gente senza riuscire a intervistare nessuno”, e veritiere purtroppo, quali le difficoltà di trovare lavoro, forte del mio essere, fui costretta a metterla di fronte a una scelta: o avrebbe assecondato la mia aspirazione o niente. Mi sarei fermata. Al diavolo le mie capacità, le mie potenzialità, la mia attitudine per lo studio e la preparazione. Tutto ciò non avrebbe avuto più un senso se non fosse stato orientato al raggiungimento di ciò che oramai era diventato il mio obbiettivo di vita. Mai mi ero permessa di obiettare ai suoi consigli. Ero sempre stata ubbidiente, consenziente. Tutto ciò che diceva, decideva, andava bene, anche se poi magari non era proprio così e ne soffrivo. Ma quella decisione NO! In tutto questo mio padre lasciava fare a noi donne. Soltanto una volta, durante una delle nostre discussioni, esclamò: "si ie chiddu chi voli fari lassaccillu fari". Ebbe ufficialmente inizio la mia formazione giornalistica… (continua…)