domenica 15 giugno 2008

Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lavoro!

È scoraggiante. Aver voglia di esprimere se stessi e non potere. Sentirsi soddisfatti pur avvertendo che manca qualcosa. Un altro tassello ancora, per colmare quel vuoto che insidia una routine quotidiana densa di attività eppure priva di denso sapore. Perché, tra le tante cose che faccio ogni singolo giorno della settimana ce n’è una, il mio lavoro, che anziché riempirmi mi svuota l’anima. È come in cucina: quando prepari una pietanza e da ricetta dovresti usare il pecorino ma, non avendone, lo sostituisci con il grana. Magari ciò che hai preparato sarà mangiabile lo stesso, ma non squisito. Hai infatti alterato un’armonia esistente solo fra determinati ingredienti. Così è anche nella vita.
Il mio ex datore di lavoro per la laurea mi regalò una maglia con su scritto “it is not what it is” (non è ciò che è). Da allora quella frase ritorna spesso alla mia memoria. Sono una commessa, cioè un’aspirante giornalista commessa. Sono felice, cioè non totalmente felice.
Ho un compagno che mi ascolta, mi capisce, con cui condivido perfino la più banale delle scelte, delle arrabbiature, dei sorrisi; Ho un amico che mi conosce veramente, a cui posso raccontare ogni cosa senza inibizioni, timori o censure. Il legame che ci unisce è talmente schietto, sentito e disinteressato che è come guardarmi allo specchio; Ho una famiglia che mi vuol bene, anche se a volte mi fa andare un po’ su di giri: si dispiace con me e per me di non vedermi godere del frutto dei miei studi e della mia passione. A mia madre, che è la persona che più si arrovella per la mia attuale condizione lavorativa, cerco allora di mostrare il lato positivo della situazione: sono in salute quindi posso lavorare e sperare di farlo un dì nel mio settore. Se non lo fossi, a me che avevano diagnosticato un male, sarebbe tutto più difficile.
In fondo conduco un’esistenza in cui non mi privo di grandi cose: non ho una casa mia; non ho intenzione al momento di mettere al mondo una creatura che avrei difficoltà a mantenere; non ho un’occupazione attinente le mie capacità e aspirazioni. Insomma, tenuto conto dell’odierno sistema socio-economico italiano, rientro nella normalità. Per questo, quando ascolto certe storie in TV, le leggo su libri, giornali o internet, mi ritengo fortunata. Peccato si tratti di una consolazione di breve durata! È più forte il senso di rabbia che mi brucia dentro e che riesco a calmare la sera, quando tra le braccia del mio lui chiudo gli occhi e piena di speranza mi dico “domani è un altro giorno”. Saprà di Via col vento, ma mi fa star bene.

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