lunedì 18 agosto 2008

Come pavoni

Noi, precari del 2000, siamo ragazzi da invidiare. È come se avessimo “cento occhi invece di due” volendo usare le parole della Padrone. Ma io, che appartengo alla categoria, non concordo.
Negli anni Ottanta l’incubo peggiore dei giovani era la disoccupazione. Oggi abbiamo possibilità di scelta: c’è anche il precariato!
Camaleontico, poliedrico, ti permette di accumulare, a suo dire, esperienze vent’anni fa impensate. Poi leggi proprio su Precari e contenti che certi lavoretti, tutt’ora in voga, erano semplicemente snobbati dalla maggior parte dei “piccoli borghesi” che, non essendo tenuti a lavorare se non per sfizio, erano dell’idea che o li assumevano per la vita o niente. Allora insorgi: e poi saremmo noi i coccolati, i blanditi,i compatiti? Saremmo noi gli aspiranti numero uno al posto fisso? Senza offesa né rancore né alcunché di personale, ma molti di noi mettono da parte aspirazioni e studi, si rimboccano le maniche, e si adattano a tutto pur di avere un’occupazione. Forse noi precari infelici siamo simili agli studenti-lavoratori del suo tempo, “una razza a parte, figli martiri di un’eroica classe operaia”. Noi sì che accettiamo come alternativa al nulla il precariato, mentre loro invece non potevano accettare di fare il barista o la cameriera. Anche questo noi facciamo, ma non potete negarci di farlo senza lamentarci. È troppo.
Le leggi in materia di occupazione hanno certamente aumentato l’offerta di lavoro, creando però al contempo situazioni di instabilità tali che la soddisfazione per aver trovato un impiego è sminuita dalla frustrazione per l’alta probabilità della sua temporaneità. Da un lato ci sono le opportunità, dall’altro c’è carenza di strumenti di controllo e di sostegno. Risultato: deficienza del sistema, insicurezza per i lavoratori.
La giornalista del Messaggero conclude il prologo al suo libro con l’invito a confrontare la sua caccia al lavoro con la propria. Io l’ho fatto e ci sono più somiglianze che differenze di quanto lei creda e scriva. Anch’io appena laureata ho inviato curricula a destra e a manca senza ottenere risposta.
Anch’io avrei voluto accompagnare la mia laurea con un master in giornalismo, ma ho dovuto rinunciare: 7 mila euro annui per due anni. Intanto spero di passare le selezioni per uno gratuito ma della durata di soli 40 ore (meglio di niente!).
Non ho fatto la lavapiatti, la baby sitter sì. Anche la segretaria e la commessa.
Se ci sarà mai l’occasione di un concorsone farò anche quello. Per vivere.
Ma non rinuncerò mai a ciò che più amo: scrivere.
Non siamo poi così irresponsabili come ci descrivono.
Siamo solo pratici, molto pratici.
E non dite “ai miei tempi…”. Allora il contesto era di tutt’altro genere. Allora evidentemente si poteva, oggi non sempre. Eppure facciamo.

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