domenica 24 agosto 2008

Alcune precisazioni

Dare una definizione del concetto di precarietà risulta alquanto problematico poiché il suo significato spesso dipende da una visione più personale che oggettiva di determinate forme di lavoro. Pertanto credo sia utile, per comprendere appieno il contenuto del mio blog, indicarvi la mia posizione in merito:
Nell’ambito delle riflessioni sulle trasformazioni del mercato del lavoro non di rado si utilizzano come sinonimi termini con valenze semantiche molto differenti tra loro. Accade così che i concetti di atipicità, flessibilità e precarietà si sovrappongano in modo improprio, rimandando a loro volta a forme specifiche di partecipazione al mercato del lavoro che poco hanno in comune.
Se, ad esempio, ci si riferisce con il termine “lavoro atipico” a tutte quelle forme di lavoro che differiscono dalla tradizionale organizzazione dei tempi di lavoro, sia giornalieri sia settimanali, si scopre che soltanto poco più di un terzo dei lavoratori svolge una prestazione lavorativa a tempo pieno dal lunedì al venerdì, in ore sostanzialmente diurne e senza turnazioni e/o straordinari. Il part time, ad esempio, individua una forma di flessibilità del lavoro (prevalentemente femminile) che non è detto si associ a forme di precarietà e, al contrario, più spesso riguarda lavoratori stabili che optano per una riduzione dell’orario del lavoro.
Possiamo quindi affermare che il termine flessibilità coniugato con riferimento all’orario di lavoro non, necessariamente e immediatamente, individua condizioni lavorative che presentano difficoltà oggettive a partecipare con continuità e sicurezza al mercato del lavoro.
Gli elementi di insicurezza sono verosimilmente soprattutto legati alla mancanza di continuità nella partecipazione al mercato del lavoro e alla conseguente mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita nel presente e nel futuro.
È quindi opportuno distinguere almeno tra flessibilità oraria e flessibilità contrattuale, in quanto solo quest’ultima sembra associarsi con più frequenza anche a condizioni di precarietà. Come risulta dall’indagine sulle Forze di lavoro, l’88 per cento dei lavoratori che hanno un contratto di lavoro a termine afferma che “la temporaneità non è una loro scelta volontaria”. Ciò a fronte del 55 per cento per l’insieme dei paesi dell’Unione europea.
Inoltre, sarà tanto più probabile individuare forme di precarietà quanto più la temporaneità del contratto si associa:
• a una ridotta o assente copertura previdenziale;
• alla mancanza di ammortizzatori sociali per la copertura dei periodi di vacanza contrattuale;
• a una scarsa probabilità di transitare verso contratti stabili;
• a una maggiore frammentazione del percorso lavorativo;
• alla brevità dei contratti;
• ad un sotto inquadramento contrattuale rispetto al titolo di studio;
• alla lunghezza della permanenza nella situazione d incertezza contrattuale
.”
(Indagine conoscitiva sulle cause e le dimensioni del precariato nel mondo del lavoro,Istat ,novembre 2006)
Per quanto riguarda il lavoro nero, da molti considerato una realtà a parte, a mio avviso rientra a pieno titolo fra le varie forme di precariato. Anzi, è la più esasperata, in quanto presenta i livelli più bassi di tutela dell’individuo rispetto ai punti or ora elencati.
Infine, che la precarietà così definita possa essere vissuta in maniera più o meno appagante dipende da esigenze del tutto individuali, come dimostrato dall’analisi delle mie e delle esperienze di altri.

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