giovedì 22 maggio 2008

Che paese infame l’Italia!

Ho voluto titolare questo post con l’esclamazione di chiusura del commento rilasciato da un anonimo qualche giorno fa. Ho riflettuto molto sulle sue parole, cercando di capirne il perché. Non è stato difficile, in fondo già sapevo. Oggi ho deciso di farlo a voce alta affinché sia lui che altri possano ribattere al mio pensiero.
La rabbia racchiusa in quelle poche righe è la stessa che cova dentro di me.
Penso di averle lette con lo stesso pathos di chi le ha scritte, nonostante abbiamo due modi differenti di affrontare una medesima situazione.
Anch’io sono laureata, con il massimo dei voti aggiungo. Una laurea sudata fin dal momento in cui ho scelto il corso: giornalismo. Mia madre non era d’accordo. Ho raggiunto il traguardo quasi in tempo, con un’adrenalina dentro che mi faceva ben sperare. Dopo i primi curricula inviati a vuoti iniziai a rassegnarmi.
Attualmente sono commessa in un negozio di abbigliamento, in nero e sottopagata.
La rassegnazione iniziale è andata sempre più scemando.
Io non mollo! Io non rinuncio a ciò che amo fare, per cui ho studiato con sacrificio, da cui non riesco a tenermi lontana. Ho tentato, non lo nego. Invano. Ho rischiato di spegnermi lentamente.
Ad altri lavori, anche più “in regola”, invece sì che ho rinunciato!
Io non sono una sognatrice. Anzi, sono fin troppo realista, pratica, calcolatrice se serve.
Se c’è da aspettare, aspetto. Ho pazienza in compenso. Non molta, ma abbastanza.
Capisco tuttavia le ragioni di chi a 30 anni e con tanto di referenze sostiene fermamente: meglio precari che disoccupati. Amaramente, con quella stessa amarezza che racchiude una simile affermazione, dico: ha le sue ragioni.
Non saprei neppure restare in silenzio. No. Io non ci riuscirei.
Se vuoi sopravvivere a questa realtà devi adeguarti. È questa la vera trappola! Il nostro tallone d’Achille.

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